IL FASCINO PER LA PAROLA SI TRADUCE IN IMMAGINE
Da Pegaso, dicembre 2014

“Io credo che la Poesia esista comunque e dovunque l’espressione configuri il dramma dell’uomo nel tempo e nello spazio. L’evoluzione del DNA della comunicazione conserva al fondo il patrimonio segreto della parola” (citazione-intervista da www.literary.it). Sintesi puntuale e significativa da parte dell’acuto intellettuale ed insigne poeta, Franco Manescalchi, che in forza di una lunga ed intensa carriera di scrittore, curatore di “Pianeta Poesia” (ciclo annuale di incontri promosso dall’Associazione Novecento Poesia – Centro di studi e documentazione, di cui è presidente) e assiduo collaboratore della Casa Editrice Polistampa, per cui dirige le Collane Sagittaria e “Corymbos.
Il suo ricco percorso, segnato dallo stretto legame tra vocazione letteraria e l’accostamento alle Arti figurative, registra nel 1956 la sua partecipazione alla formazione del Gruppo “Amici dell’Arte”, esercitando l’attività di Critico nella frequentazione di alcuni tra i maggiori artisti fiorentini del tempo e scrivendo per loro: Farulli, Tredici, Midollini, Ciabani, Capocchini. Nel 1959 entra in contatto con il Gruppo di “Quartiere” in dialogo con i Movimenti letterari generazionali sul piano nazionale, redigendo l’omonima Rivista; nel 1969 è tra gli ideatori e coredattore della Rivista in ciclostile Collettivo R. Il suo impegno di scrittore si è sempre adoperato per far calare i fattori valoriali e cognitivi della Cultura nella scuola e nella società, promuovendo l’esperienza “storica” dei Doposcuola su modello “ Milaniano” e conducendo negli Anni Settanta corsi di Scrittura creativa ed Educazione all’immagine nel Laboratorio di Arti visive dell’Accademia di Belle Arti a Firenze. Negli stessi anni collabora alle pagine letterarie di importanti Periodici e Quotidiani nazionali quali Il Ponte e L’Unità, per ricoprire in seguito incarichi di redattore e direttore di altre realtà editoriali di rilievo: la rivista Punto d’incontro; il periodico di satira ed umorismo grafico Ca Balà; negli Anni Ottanta fa parte del Gruppo editoriale senese-romano di Messapo; dirige il periodico Stazione di Posta e fonda insieme ad altri l’intergruppo-circuito di poesia editoriale e performativa di respiro internazionale Ottovolante. È talmente vasta la bibliografia di opere liriche e critiche scritte dall’autore che ci si limita a segnalare l’Antologia delle sue stagioni poetiche nel libro LA NEVE DI MAGGIO, 1959 -1995 (Polistampa 2000) ed il recente volume LA CITTA’ SCRITTA da “QUARTIERE” alle GIUBBE ROSSE (Edifir 2005), quale sapiente e preziosa summa critico-storiografica della Cultura della Poesia del secondo Novecento a Firenze. Una personalità dunque così poliedrica ed affascinata dall’interdipendenza fra i linguaggi non poteva escludere di sperimentare con felici esiti, tra gli anni ‘60 ed ‘80, l’interconnessione fra parola ed immagine, realizzando una serie cospicua di opere inedite, da lui definite: “Arte visuale”. Si tratta di un ricercato itinerario grafico di oltre sessanta esemplari dai lirici ed ironici riscontri, avvalorati dalla messa in opera di una pluralità di tecniche esecutive in assoli o commiste e duettanti fra loro: matita, biro, china, tempera, pastello, olio, collage. Il disegno ora incisivo, ora fluido si flette a delineare, ritrarre, evocare, interagendo con il colore o impreziosito da papiers-collès, le sequenze di vissuti in cui la preponderanza dei soggetti è figurativa. L’intento narrativo si converte in moderne iconografie tratte dal quotidiano, nell’allusione ad immaginari desunti, analogici, realistici secondo una galleria di volti, profili, angolate positure e corporeità omaggianti in particolar modo la femminilità. È latente il conflitto-confronto con la società del consumismo, nella dialettica neorealista tra l’essere e l’apparire, nel sottile gioco delle parti, nel monito alla dignità della persona nelle delicate dinamiche relazionali. Il nostro poeta-artista sorprende per le sue IDEAZIONI A COLLAGE, tendenza d’avanguardia per il recupero oggettuale dell’immagine ritagliata, divulgativo ready-made, che scandisce la sua polivalente visione semantica, in parte in sintonia con le ricerche coeve di “Poesia visiva” degli storici esponenti Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Franco Manescalchi, ama a tal punto la sinestesia fra le Arti da non tralasciare nessun medium espressivo al passo con la modernità, cimentandosi attualmente anche nella Fotografia e Digital Art, dominato da un unico intento: indagare il reale, assaporarlo nel canto lirico, distanziarlo con ironia e sagacia, mantenere alto sul piano della Polis, come egli afferma, la tensione sulla “bellezza” quale ideale di humanitas, contro ogni mercificazione e cupidità, non violata e tutelata che celebra le facoltà psicofisiche dell’uomo nel conoscere se stesso e nel relazionarsi con il mondo.

Silvia Ranzi

LA VIDEOARTE: L’UOVO PRIMIGENIO
Da Codicillo, Editrice la Giuntina, Firenze, 25 giugno 2003

Cosmogonia: ho spiato nell’Album di Franco Manescalchi.
Un mostruoso cannocchiale mi ha ‘lanciata’ ai primordi, nel «calco nero e vuoto», ove si è trasformato in un minuscolo microscopio: il vasto, l’immenso, lo sconfinato ho potuto vedere e, pure… il piccolo, il minuto, il limitato. Nella stupefa­cente cosmogonia di Franco, allo Schizzo di umana figura se­gue Luglio nell’alba.
Le foglie incendiate hanno la forma di lame ossute; sotto le acque fermenta la terra. Quando tu, o terra, apparirai, io prenderò coscienza degli spazi, perché cielo, mare e tu, terra, vi sarete amati a “incastro”: è emerso il Cosmo. E… risucchia­to dalla spirale, prende forma il non essere: la notte lunare, il blu stellare, il rosso della natura, nel cielo solare. Sfumano, i colori intensi e delicati, si astraggono nella natura lussureggiante, sospesa sul blu immenso delle acque oceaniche. Nel tramonto arrossato, ondula l’arcobaleno. Conchiglie e tarta­rughe si portano alla sabbiosa riva: il sole, muto, sorride…, le forme informi trapassano nel figurato!
Nell’Uovo primigenio… si rompono le acque e Gesù, co­me Fanes, si mostra e, distinguendo, crea il mondo. Mentre, alla luce della coscienza, sta per essere l’uomo. Una spiaggia infinita, lambita da acque infinite, impasta la vita…, dell’uo­mo e della natura.
La “casualità”, pilotata dall’Artifex, ha creato arte purissi­ma: «Fiat lux» e la luce è nella trasparenza di innumeri riflessi e rifrazioni. Il mistero del Padre stupisce… sprofondato nel misterioso geometrismo dei primordi.
Le varie parti dell’essere si sono separate e distinte per ri­comporsi nell’Intero, esaltate da decorazioni estetiche, di grande bellezza, sospese, dove? Nel mondo del corallo. A che servono le parole? Mistero dell’essere…, spiando là dove si forma, mentre l’anima umilmente invoca.
Nell’Uovo, l’essere si moltiplica; la larva si apre e si mette di guardia alla vita. Tutto il mondo si è concluso, separandosi e accordandosi e… si specchia nell’infinito, abissale, Specchio di Dio, nelle innumerevoli sue rifrazioni di luce.
Riflessione.
La poetica del piacere non consegue il piacere, ne compie il dovere.

Maria Teresa De Chiara Simoncini

PER INTERNI CON FIGURE

Eugenio Giani
Presidente del Consiglio regionale della Toscana

Presentazione

L’esposizione delle opere di Franco Manescalchi avviene in occasione della presentazione del suo volume “L’Iris azzurra. Nella luce degli anni. Vita in versi (quaderni inediti), 1974-2016” che si svolgerà neH’Auditorium Giovanni Spadolini del Consiglio regionale. Si tratta di un testo che – come scrive acutamente Giuseppe Baldassarre nella postfa­zione – “…è un libro prezioso che permette di intra­vedere all’interno delle stanze dell’animo ed entrare nel laboratorio del poeta, in un percorso che si svilup­pa lungo tutta la sua formazione ed esistenza…”. Le opere che saranno esposte arricchiscono questo straordinario laboratorio di un protagonista della cultura toscana. Manescalchi è uomo poliedrico, umanissimo e sempre alla ricerca di nuove pro­gettualità di cui queste espressioni figurative ne sono una ulteriore testimonianza. Per il Consiglio regionale è importante poter ospitare negli spazi del Palazzo del Pegaso l’attività di un fiorentino che, col suo lavoro, ha offerto un contributo sicu­ramente originale alla cultura italiana. Se, come credo, l’identità di un territorio non è qualcosa di statico, ma ha sempre bisogno di alimentarsi con nuovi stimoli per non rimanere semplice con­templazione del passato, allora l’opera di Franco Manescalchi può, a buon diritto, essere ritenuta un tassello significativo del nostro patrimonio collettivo.

 

Michael Musone

Curatore della Mostra a Palazzo del Pegaso in Regione

 

Impressioni artistiche  di un grande poeta

Introdursi nel mondo artistico di un grande autore è sempre un viaggio affascinante. Lo stu­pore e la curiosità sorreggono il visitatore dalla prima all’ultima riga e dalla prima fino all’ultima immagine acquisita. Franco Manescalchi poeta e pittore racconta e ci partecipa il mondo che vive ed ha pienamente vissuto. Le suggestioni sono infinite, l’amore esplode verso tutto e tutti. I suoi ricordi sono vivissimi: il padre, la madre, la casa avita con lo stemma de­gli Innocenti impresso sulla facciata, un mondo che non c’è più e che lui continua a vivere ed ad amare. Emerge cosi un simbolo essenziale della sua Vita: “Quell’iris azzurra” che nella “luce de­gli anni” non ha cambiato forza e colore rendendo tangibile il senso etico di un’esistenza trascorsa sotto la bandiera di un bucolico interesse per tut­to ciò che lo sfiora, i fiori, gli alberi, gli animali, e l’uomo e la donna portatori di gioie immense e immani dolori.”Impressioni figurative” di un grande poeta, cosi colloco i suoi molteplici lavori d’arte che chiudono il cerchio magico del tempo nell’ideale vissuto, operato, amato, sperato, per sé per tutti i suoi cari, per la sua vita, per la po­esia cui si è dedicato e che infonde a tutte le sue visioni, da quelle più semplici fino a quell’elabo­razione onirica costruita attraverso il computer con il sapere dotto del suo cuore. Il suo mondo è vivo, mai corrotto da una nota stonata, è difficile non commuoversi nel mare di emozioni di un’arte preziosa cui usufruiscono solo coloro che adopra- no una chiave che il poeta offre generosamente al mondo che lo segue. Commovente il viaggio che ho intrapreso nel mondo dei suoi libri e delle sue visioni essendo egli autorevole in ogni campo cui ha pienamente partecipato. Il suo lavoro costan­te sarà la prossima emozione sospesa nel tempo e nello spazio futuri per sempre congratularci e ricordarlo.

 

 

 

 

 

Anna Vincitorio

Relazione tenuta il 5 giugno 2018 nel Palazzo del Pegaso della Regione Toscana

 

Perché interni? Vuole essere una visione limitata del mondo o al contrario esaminare nel profondo l’uomo, la sua humanitas, il suo essere che assomma in sé  l’altro che è fuori? I pensieri, l’amore, i silenzi partono da ciascuno di noi, si confrontano assumendo una valenza oggettiva.             

Franco Manescalchi ha due strumenti: il segno e la parola. Un volto femminile: una Kore, fanciulla seriosa, labbra strette, occhi che indagano quel mondo che Franco osserva nella sua quotidianità ma con la mente volta alla ricerca “di pepite d’oro/ nel crepuscolo alto dei viali”.

Occhi verdi; poche linee che s’incontra­no in un abbraccio, chiaroscuri. Quasi sempre profili femminili. Cosa ha inteso celare l’artista nella parte nascosta del volto? Lascia a noi l’indagine. Si susseguono colori, riquadri di finestre immaginate su cieli dei quali si percepisce l’azzurro. Si passa, nel proseguire, a tonalità sul verde. Un uomo, lo sguardo obliquo. A lui contrapposta, una donna dal busto scoperto, tratteggiata col viso in ombra. Non può esserci incontro di sguardi ma è come assistere a un dialogare tra due opposti silenzi. Il silenzio è vitale per un artista e si manifesta attraverso il colore e il colore rivela l’attimo vissuto, le aspettative, l’angoscia.

Dall’amore corrisposto o meno si passa all’assenza. Il poeta è cieco. Tutto è lontano, sfumato in ricordi antichi. Si rivolge all’immaginario del tempo andato perché riviva. È come un rivisitare col segno e la parola la famiglia, i cari di un tempo. Quel ripetersi quasi ossessivo dei volti denuncia storie vissute ma non raccontate; l’interpretazione al lettore che dovrà decifrare le parole non dette ma pensate e le visioni che quegli occhi hanno percepito e che si dilatano in ombre in un tempo di attese che va vissuto e accolto nel suo dipanarsi. Il pittore è un poeta che scrive “versi nell’aria/ con la penna estrosa delle rondini…”; lui è “come l’erba dei campi/ che cresce e basta/ diretta verso il cielo”.

Come attraverso una pioggia battente si delinea il volto di Wladimir Majakowskij: poeta “ingombrante”, fortemente critico contro il mondo letterario del passato, contro i burocrati e il decadentismo.

Poeta futurista d’avanguardia che dà struttura alle immagini. Forse questo lo accomuna a Franco Manescalchi, idealista e lottatore.

Riporto alcuni versi di Majakowskij:

“Come coda di pavone la fantasia spiegherò in un cielo

                                                                                    screziato

darò l’anima in potere d’uno sciame di rime

                                                                     inaspettate

Voglio di nuovo sentire come zittiscono dalle colonne

                                                                              dei giornali

quelli

che, accanto alla quercia che li nutre

scavano le radici con i grugni” (1)

Nel proseguire l’analisi dell’opera, le immagini s’incupiscono per poi tornare alle donne. Anche se  “cammini sorretto dai tuoi anni/ virili, sprezzati/ da infrante colonne/ di fumidi spettri che/ te insidiano/ mentre ferito aspramente cammini”.

Il poeta è irato e ci dà una immagine “a pugno chiuso/ e nel mio pugno c’è la dinamite / di un gesto che  doveva essere compiuto/ pure contro chi inquina la bellezza”.

I corpi femminili si delineano nudi, indifesi o provocanti? I volti, seriosi. All’artista la risposta.

Il libro si conclude con Azzurra di Hugo Arévalo.

La ragazza allegra: “era bianca… era rossa… era stella…

fu inghiottita dal buio”.

Ma ci sarà un ritorno alla vita inaspettato.

Il poeta e il pittore si fondono  , sublimando le angosce esistenziali, aprono la porta alla speranza, una speranza che si realizza attraverso il colore, il segno, la parola.

 

  • Wladimir Majakowskij – da Opere scelte – a cura di Mario De Micheli – Feltrinelli editore -settembre 1976.

 

Da una relazione tenuta nel Palazzo del Pegaso della  RegioneToscana al’inaugurazione della Mostra del 5 giugno 2018

 

Anna Balsamo

 

Lettera a Franco Manescalchi per INTERNI CON FIGURE 

Caro Franco, è un po’ che rigiro le pagine di questa tua opera (grazie del dono, grazie) che tu titoli “Interni con Figure” e che mi hai fatto recapitare da Giancarlo Bianchi.

Un titolo è come una “dritta” alla comprensione e valutazione dell’opera che l’autore dà, ma è un suggerimento che qui subisce e risubisce rapide metamorfosi. Per me personalmente (a prescindere dai sotto-titoli puntualizzatori nell’indice che sottolineano, quasi paragrafi, diverse fasi d’emozioni storiche), dopo alcune visioni, l’ho ribattezzato, per un tratto, “Alien”, titolo attribuitogli dalla mia sensibilità per tutto il tempo finché non ci si scontra con la verità reale e assoluta di quale sia il nucleo originario, primigenio del libro – romanzo – filmato, nel confluire tra immagine e poesia: si tratta della lirica “A pugno chiuso” che tra l’altro segna uno dei più intensi momenti del libro. Quel pugno che doveva essere portatore di lotta e vittoria dei propri ideali, non è sconfitto bensì serrato ermeticamente come valva di conchiglia a proteggere la tuttavia sussistente perla, figlia esistenziale di linfa scaturita da delusione e dolore, figlia d’estraneità e insieme di forzata compartecipazione al volgere serpentino degli indesiderati eventi della Storia, la poco amabile e indiscutibile padrona del corso delle nostre vite, se “vite” si possono chiamare e se “corso” gli hanno mai lasciato avere. Franco, il poeta artista, manifesta e dichiara nei suoi versi, splendidi incisivi endecasillabi: “amica mia, non sono un uomo mite / anche se all’ingiustizie sembro muto / perché l’impari lotta fu perduta – e non si dice ciò che non si fa”. Qualsiasi lettore, che abbia in sé dell’umano, non può non sentire la chiamata a riconoscere nel pathos di questi versi sé stesso e come l’uomo sia sempre una proposta, un progetto di vita vexato fino alla morte. E, a proposito del fare e non fare, quest’opera di Franco Manescalchi mi coglie ignorante e, all’epoca, non partecipe di tante passate sue iniziative, perché ho scritto fin da giovanissima ma, fino ai quarant’anni, ero del tutto al di fuori dell’ambiente letterario: modaiola e immersa nell’ansia di non conoscere me stessa. A parte il mio innato carattere da eremita ribelle contro cui mi tocca sempre di combattere o, quanto meno “conciliare”, come con una contravvenzione in atto. Torno quindi all’altra mia impressione, per cui titolavo, dentro me, quest’opera “Alien” riferendomi alla testimonianza dell’insistito marcato grafismo delle immagini: sì, è vero, come è stato dichiarato criticamente, di quanto Franco si riallacci a Grosz e Maccari (io vedo più Grosz che Maccari) ma è importante sottolineare e intendere che, a mio parere, Franco non satireggia le figure: esse non sono caricature, non c’è l’invito a riderne: tutte, di libertari o reazionari, stanno per rovinare, sono viste borderline nel baratro: esse sono constatazioni dello status vivendi che tutto drammaticamente macera e distrugge e vanifica; in questa distruzione, purtroppo amalgamando, compostando le idee libertarie a quelle repressive, e gli ideali vengono offesi, convocati al tribunale di Ecclesiaste, con l’ingiusta accusa di Vanità delle Vanità. Gli uomini, protagonisti delle loro azioni, appaiono travagliati, dispersi, transfughi disadattati come marziani in Terra o terrestri su Marte (sensazione che proviamo nel vivere), comunque estraniati dalla vita, ergastolani fino al ritorno ad indistinto disintegrato humus corrotto (vedi “Doppia maschera”) ed anche quando c’è chi fa mostra di boria burocratica (vedi gli altri) con in mano i dadi del Potere, son gonfi come salme al terzo giorno nel feretro.

E, la “dea della vita”, per antonomasia, la donna? E’ trattata con un affettuoso rispetto che implica nelle figure un assenso al reciproco diritto alla sessualità, vagheggiata come atavico patto d’alleanza: ma soprattutto al riguardo dell’amore, Franco si riscopre incantato adolescente, commosso trobador provenzale. I bei profili femminei, d’estetica classica, mai estetizzanti, sono tesi e concentrati in un pensiero progettuale di cambiamento. E allora, il titolo di copertina, “Interni con figure”, perché per introdurre? E’ giustissimo, a questo punto, con uno di questi profili pensierosi di donna che erompe da un caleidoscopio d’ornato patchwork musivo (altrove e anche Pop Art di collages fotografici) che ci riporta a molti di quegli ornati che, nella Secessione Viennese, Gustav Klimt accompagna alle sue proprie “divine”, magari anche nella rappresentazione persino del “Bacio”. E’giusto fare ancora citazione della Successione cui va riconosciuta tornante e continua attualità. Sì, dall’Interno, quindi dal regesto culturale di Franco – neuronale e memore psichico, qualsivoglia – erompono, ad esplorare l’epoca contingente, come se lacerassero un grande manifesto di fondo e scendessero su un palcoscenico per recitare la farsa, i personaggi: e poi s’intricano propositivi metaforici talvolta come in “Azzurra”, sotto i riflettori della Fashion, un po’ meno aggrondati, in  una hit-parade finale, testimone lo sguardo di perplessa innocenza d’un infante che in una gigantografia si sovrappone succhiandosi il pollice alla vista degli spalti in babelica preparazione di uno spettacolo: quale? La sua vita?

 

 

 

Giampaolo Trotta

Prefatore del catalogo interni con figure

Franco Manescalchi, pittore della poesia.

Sulle ali della fantasia, un’assetata e concreta ricerca di idealismo sociale

 

Franco Manescalchi, noto poeta, saggista e giornalista, fin dagli inizi degli anni sessanta ebbe l’idea di far confluire in una sorta di unico ‘laboratorio’ interdisciplinare le due arti della poesia e della pittura, pur conservando la distinzione fra i due generi. E forse proprio in questo suo lungimirante atteggiamento culturale (in quegli anni ancora non comune) sta in embrione la motivazione alla base della sua attività di pittore, di disegnatore e di grafico, attività che, fino ad oggi, a differenza di quella di scrittore, non era così conosciuta, se non da una ristretta cerchia di amici.

Tutto nacque nel 1961, quando il direttore della galleria fiorentina “L’indiano”, Piero Santi, invitò i membri della rivista “Quartiere” (compreso Manescalchi) ad una mostra intitolata Autografi di scrittori illustrati da pittori e scultori. In tale ottica – mantenuta nel tempo – egli ha dato vita all’associazione culturale “Centro Due arti” ed ha organizzato, in tale ambito, due mostre di cui ci restano i cataloghi (si veda Parola per immagine, catalogo della mostra di materiali grafici interdisciplinari del 1983). Erano quelli gli anni, non a caso, dell’affermarsi della Poesia Visiva.

Manescalchi ha dipinto e disegnato prevalentemente in maniera espressionistica, rivelando paradigmaticamente la sua coscienza critica nei confronti delle storture sociali del tempo, come, ad esempio, il maschilismo. Il suo messaggio altamente etico, segno di una raggiunta autocoscienza sociale, si è manifestato – realisticamente o simbolicamente – mediante

forti richiami culturali alla tradizione delle Avanguardie del Novecento – in stretta simbiosi con la quale ha attraversato tutta la seconda metà di quel secolo – ed impiegando ‘stili’ figurativi, forme e tecniche proprie di essa, come le forti cromie espressioniste, l’essenzialità del tratto e del colore (fra Cubismo e grafica pubblicitaria, talora con riferimenti di graffiante satira alla George Grosz, ma con richiami formali anche a Mino Maccari e a Virgilio Guidi), il collage-decollage, ma anche il disegno a matita ‘inciso’sulla carta con meticolosissima acribia.

Le sue tematiche si estendono dall’ambito collettivo e sociale – politicamente impegnato – all’individualità dei sentimenti velati di tormentata psicologia freudiana e mai di attardato o retorico romanticismo evanescente, ma, anzi, talora, di forte impatto emotivo per scuotere le coscienze, come nel ciclo A pugno chiuso. Temi ricorrenti nelle sue opere sono l’amore

verso la donna nelle sue più ampie accezioni, l’assenza e la solitudine fra ricordo ed utopia, la bellezza e l’orrore dell’umana ‘bestialità’ munchiana, le ‘stanze’ surreali dell’anima, il connubio inscindibile tra ‘fiori’ e ‘fango’ nella nostra psiche, il senso della perdita e del vuoto quando la parabola dell’esistenza pare volgere verso il declino del nulla, l’importanza della testimonianza

e della presenza attiva nella militanza ‘ideologica’, i ‘fili spinati’ interiori che dividono le coscienze, l’introspezione in un pugno di ritratti spezzati come specchi, lacerazioni di immagini stampate in collage che fanno esplodere dal di dentro eruzioni cromatiche di astratto espressionismo, che rasentano l’astrazione lirica.

L’opera, come si è detto rimasta per lo più inedita fino ad oggi, è ora – in occasione del suo ottantesimo genetliaco – oggetto di questo catalogo antologico dal significativo titolo, dechirichianamente metafisico, di Interni con figure, un prezioso strumento per comprendere meglio l’artista, il personaggio poliedrico di cultura e l’uomo.

Manescalchi ha realizzato anche, nel corso degli anni, vati acquerelli con nature morte, spesso memori dell’essenzialità diafana morandiana o della solida volumetria di sante Monachesi, e con paesaggi essenziali in ampie stesure acquose di luminosi colori alla maniera dell’ultimo antonio Corpora.

Pure l’astrazione è stata sperimentata da Franco (questo onnivoro ed assetato sperimentatore di nuove strade, sempre curioso verso il futuro, pur solidamente radicato alle radici del passato) nella serie Forme: monocromi o policromi non geometrici (alla Mondrian o alla Dorazio), bensì referentisi ad un bloccato dinamismo postfuturista di ‘schegge’ che simbolicamente richiamano alla mente ideogrammi di scritture orientali ed allegorie tutte interiori, vissute attraverso i riflessi degli occhi taglienti di colui che dà forma e significato al giuoco delle nuvole.

 

Sonia Salsi da Pegaso  n° 200 edizione speciale

Per interni con figure

 

“Installazione” ante litteram l’u­nione visiva e letteraInstallazioni antelitteram l’unione visiva e letteraria di Poesia e di Pittura, creata a coltivata da FRANCO MANESCALCHI fin dai primi Anni Sessanta e “segno” della sua creatività.

Mentre sempre più ampi, sempre più ridondanti, sempre più “prestigio­si” sono gli spazi utilizzati dagli attuali allestimenti dei più vari materiali ed oggetti, mentre sempre più breve, effi­mero, momentaneo si fa lo stupore di chi si sottopone alle code di ordinanza pubblicizzate dai gestori del consumo dell’Arte, Manescalchi continua e ap­profondisce la sua ricerca, minimale nei mezzi, immensurabile negli effetti, di consonanza tra Parola e Immagine. Illuminante esempio, il recentissimo “Interni con figure” (1).

Sei “capitoli di immagini”: così potremmo definire i disegni, i fram­menti di foto delocalizzati in collage, fra campiture vivide di acquerelli e di tempere, di china e di matita biro, fra sintetici ed intensi profili di volti , ora drammaticamente espressionisti, ora in un perfetto equilibrio, che richiama la statuaria della Grecia classica. Sei “sta­zioni”, laica processione di un Artista che si cerca, si sperimenta, si trova nell ‘Amore. nell ‘Assenza. tra I Poeti e gli altri. che si avventura consapevole e A pugno chiuso, fino .1 perdersi in una Azzurra dimensione ili creatività.

Sei stazioni introdotte da liriche che vivono di tutta la musicalità della rima e dei suoi“intrecci”nelle più varie articolazioni ritmiche della tradizione poetica italiana; o composte in versi  li­beri, che procedono per assonanza, per empatia, per dissonanza.

Emblematica di questa complessi­tà di ispirazione la lirica iniziale, quasi sigillo di tutta l’opera, Ecco,poggio sul foglio la matita: una sorta di metapoesia, nella quale l’autore ci confessa il suo lasciar bianco il foglio, il suo non-scri- vere, la sua solitudine. E alla fine, noi non troviamo una pagina bianca, ma incontriamo e leggiamo una poesia, come un Temps retrouvé… Una poesia d’amore alla “Kore fanciulla”, raffigurata in poetici profili o in una plastica ricomposizione che la unisced, in un unicum compositivo, con un volto maschile.

“si leggono le immagini, si vedono le  parole: creativo ossimoro, ricomposizione di vita e arte

 

Silvia Ranzi prefatrice del catalogo interni con figure

 Franco Manescalchi – Il fascino per la parola si traduce in immagine

 

“Io credo che la Poesia esista co­munque e dovunque l’espressione configuri il dramma dell’uomo nel tempo e nello spazio. L’evoluzione del DNA della comunicazione con­serva al fondo i lpatrimonio segreto della parola”

(citazione-intervista da www.literary.it).

Sintesi puntuale e significativa da parte dell’acuto intellettuale ed insi­gne poeta, Franco Manescalchi, che in forza di una lunga ed intensa car­riera di scrittore, critico e giornalista, calca dagli anni Cinquanta le scene del fervido milieu fiorentino, ad oggi nel ruolo di curatore di “Pianeta Poe­sia”, ciclo annuale di incontri pro­mosso da Novecento Poesia (Centro di studi e documentazione, di cui è Presidente, contraddistinto da un im­pegno ventennale per la promozione della Letteratura e dell’Arte) e assiduo collaboratore della Casa Editrice Polistampa per le Collane “Sagittaria” e “Corymbos”.Il suo ricco percorso, segnato dallo stretto legame tra voca­zione letteraria e l’accostamento alle Arti figurative, registra nel 1956 la sua partecipazione alla formazione del Gruppo “Amici dell’Arte”, esercitan­do l’attività di Critico nella frequenta­zione di alcuni tra i maggiori artisti fiorentini del tempo e scrivendo per loro:  Farulli, Tredici, Midollini, Ciabani, Capocchini. Se nel 1959 entra in contatto con il Gruppo di “Quartiere” in dialogo con i Movi­menti letterari generazionali sul pia­no nazionale, redigendo l’omonima Rivista; nel 1969 è tra gli ideatori e coredattore della Rivista in cilostìle “Collettivo R”. Il suo impegno di scrittore si è sempre adoperato per far calare i fattori valoriali e cogniti­vi della Cultura nella società, pro­muovendo l’esperienza “storica” dei Doposcuola su modello “Milaniano” e conducendo negli anni Set­tanta corsi di Scrittura creativa ed Educazione all’immagine nel Labo­ratorio di Arti visive dell’Accademia di Belle Arti a Firenze. Negli stessi anni collabora alle pagine letterarie di importanti Periodici e Quoti­diani nazionali quali “Il Ponte” e “L’Unità”, per ricoprire in seguito incarichi di redattore e direttore di altre realtà editoriali di rilievo: la rivi­sta “Punto d’incontro”; il periodico di satira ed umorismo grafico “Ca Balà”; negli anni Ottanta” fa parte del Gruppo editoriale senese-romano di Messapo; dirige il periodico “Stazione di Posta” e fonda l’intergruppo-circuito di poesia editoriale e performa­tiva di respiro internazionale “Ot­tovolante”. E talmente vasta la biblio­grafia di opere liriche e critiche scritte dall’autore che ci si limita a segnalare l’Antologia delle sue stagioni poetiche nel libro “La neve di Maggio”, 1959-1995 (Polistampa 2000) ed il recente volume “La città scritta” da “Quartiere” alle “Giubbe Rosse” (Edifir 2005), quale sapiente e pre­ziosa summa critico-storiografica della Cultura della Poesia del secondo Novecento a Firenze. Una personalità dunque cosi poliedrica ed affascinata dall’interdipendenza fra i linguaggi non poteva escludere di sperimentare con felici esiti, tra gli anni ’60 ed ’80, l’interconnessione fra parola ed immagine, realizzando una serie cospicua di opere inedite, da lui defi­nite: “Arte visuale”. Si tratta di un ricercato itinerario grafico di oltre sessanta esemplari dai lirici ed ironi­ci riscontri, avvalorati dalla messa in opera di una pluralità di tecniche ese­cutive in assoli o commiste e duellan­ti fra loro: matita, biro, china, tem­pera, pastello, olio, collage. Il dise­gno ora incisivo, ora fluido si flette a delineare, ritrarre, evocare, interagen­do con il colore o impreziosito da papiers-collès, le sequenze di vissuti in cui la preponderanza dei soggetti è figurativa. L’intento narrativo si con­ con­verte in moderne iconografìe tratte dal quotidiano, nell’allusione ad immaginari desunti, analogici, reali­stici secondo una galleria di volti, profili, angolate positure e corporeità omaggiami in particolar modo la femminilità. È latente il conflitto-confronto con la società del consumi­smo, nella dialettica neorealista tra l’essere e l’apparire, nel sottile gioco delle parti, nel monito alla dignità della persona nelle delicate dinamiche relazionali. Il nostro poeta-artista  sor­prende per le sue Ideazioni a Colla­ge, tendenza d’avanguardia per il recupero oggettuale dell’immagine ri­tagliata, divulgativo ready-made, che scandisce la sua polivalente visione semantica, del tutto diversa ma in sintonia ideologica con le ricerche coeve di “Poesia visiva” degli storici esponenti Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, presenti anche nella mostra dei poeti-pittori alla Galleria Il Fiore e ricordata nella cronologia  del maxicatalogo di Continuità – Arte in Toscana del 2002.

Vi si legge: “La mostra della storica Galleria di Corrado Del Conte costuisce una delle prime testimonianze dove sittua, secondo il principio di interdisciplinarietà, .la commistione fra parola e immagine.”(Continuità, regesto gennerale, p. 177).

Franco Manescal­chi, ama a tal punto la sinestesia fra le Arti da non tralasciare nessun medium espressivo al passo con la modernità, cimentandosi attual­mente anche nella Fotografia e Digital Art, dominato da un unico intento: indagare il reale, assapora­lo nel canto lirico, distanziarlo con  ironia e sagacia, mantenere alto sul piano della Polis, come egli affer­ma, la tensione sulla “bellezza” quale ideale di humanitas, contro ogni mercificazione e cupidità, non violata e tutelata   che celebra le facoltà psicofisiche dell’uomo nel conoscere se stesso e  nel relazionar­si con il mondo.

Questa è il sito del poeta Franco Manescalchi, che è venuto a mancare il 29 settembre 2023.

La famiglia vuole lasciare visibili i contenuti del sito, come testimonianza della sua attività culturale che ha coltivato nel corso di tutta la sua vita fino alla fine.