A cura di Antonio Spagnuolo, www.vicoacitillo.it, aprile 1996
Domanda: Dalla seconda guerra mondiale alla Bosnia, alla Cecenia: come potremmo intervenire con il segno della poesia contro l’incapacità di ascoltare?
Risposta: Negli ultimi quaranta anni abbiamo vissuto, storicamente, in una situazione planetaria con conflittualità periferica diffusa di due blocchi di potere “malati” di mundialismo. Ora, il mundialismo del potere è esattamente l’opposto della universalità del linguaggio poetico e del suo messaggio intrinsecamente liberatorio. L’incapacità di ascoltare è perciò derivata da questa contrapposizione surrettizia fra poesia e società. Dal Politecnico alle neoavanguardie per giungere agli Anni ‘70, ovvero al Pubblico della poesia, anche in Italia abbiamo assistito al conflitto fra cultura del potere ed il potere sempre rimosso delle scritture creative. Il segno poetico spesso ha solo agito, talvolta ha anche reagito, pur rimanendo underground. Ed oggi la questione si fa ancora più acuta, dal momento che il potere economico politico “fa orecchie da mercante”. Comunque, continuando ad “ascoltarci” aumenteremo le generali capacità di ascolto, nonostante tutto.
Domanda: Carducci, Pascoli, D’Annunzio / Marconi, Freud, Einstein: in questi due gruppi sembrano presenti due maniere di incidere sulla cultura, ma chi lascia un segno indelebile?
Risposta: Poesia e scienza rappresentano, a mio avviso, un binomio inscindibile. Dubbio e ragione stanno alla base di una ricerca alla fine comune. E’ molto difficile distinguere fra “l’atomo opaco del male” di Pascoli ed il senso del mistero di Einstein, se non per l’implicazione etica del primo e l’oggettività linguistica del secondo, che pure lascia spazio alla poesia. Infine i segni dell’uomo sono indelebilmente precari…
Domanda:“Diciotto anni, muore di parto: avviso al ginecologo”: come può accostarsi la poesia ad una tragedia?
Risposta:La poesia è sempre tragica, sino al momento in cui Marsia subì “il divieto della Dea”, e dunque nasce per contrasto; ma lo è doppiamente nello stato di emarginazione di cui si è scritto sopra. E tutto ciò, l’atteggiamento “impoetico” di chi gestisce ogni forma di potere, primo fra tutti chi può decidere della vita degli altri, è “avvisato”, senza appello, dal suo stesso atto, per il suo stesso atto, oltre ogni civile (o incivile) “garanzia”. Ancora una volta “l’incapacità di ascoltare”, che in fase prelinguistica è in tutti un’opinione, non può non essere assolta per insufficienza di prove: è la più atroce e la più tragica. Le scritture creative non emergono dalla trattazione di temi ma dal trovarsi in re, nei problemi.
Domanda:Tra la cultura accademica e la cultura underground ed internet: riusciresti ad inserire un tuo nuovo volume di poesie?
Risposta: I libri di poesia sono letti da pochi e scritti da molti: l’underground ne pullula, la cultura accademica non “li vede”, internet ne accentua la separatezza. Negli Anni ‘70 si era tentata la diffusione orale, dei recitals…che fare? (Non è una citazione). Il Giusti scrisse: “il fare un libro è meno che niente, / se il libro fatto non rifà la gente”. Il fare dunque? Il poièin? E la gente? Ma non è più quel tempo, siamo Giusti. Anzi, non lo siamo. Potremmo provare ad “inserire” il libro sul comodino fra il montaliano “cane di legno” e la confezione del Tavor. Chi sa che non funzioni…rimane oscuro il rapporto fra il libro (nostro) ed il comodino (di chi?).
Domanda: 1950/2000. Quasimodo, Ungaretti, Montale / Baudo, Zichichi, Scalfaro: ancora un confronto che non tocca gli addetti ai lavori, ma il grosso pubblico dà ascolto soltanto a Baudo?
Risposta: Procediamo per stilemi cari al “grosso pubblico”: Quasimodo: “Alle fronde dei salici”, Ungaretti: “M’illumino d’immenso”, Montale: “Meriggiare pallido e assorto”. Sono versi memorabili di cui, talvolta, si appropria anche la pubblicità: “M’illumino di Vienna”, per fare una citazione. Una volta spesso si viaggiava a piedi e si scandivano, così, “i piedi” dei versi. Da Nietsche a Sbarbaro, da Papini a Campana, da Rebora a…, il pensiero poetante rappresentava una forma di/del movimento. A livello popolare il “poeta” era il cantastorie che andava da un posto all’altro, senza una meta fissa. Poi, il “grosso pubblico”, alla fine degli Anni ‘50, ha perso l’uso dei piedi, ha preso ad andare in B/audo. Prima in B/audo minuscole. Ricordiamo la carica delle 500, al mare, ai monti. Dannunziani apprendisti stregoni andavano al mare, edonisticamente, a “cavallo”. E poi B/audo anche Zichichi (chi?), Scalfaro (un faro!). E gli addetti ai lavori?
Domanda: Quale valore può avere la poesia in un contesto sociale che è protagonista di “labbra e seni al silicone”, di “uteri in affitto”, di “manipolazioni genetiche”, di “Alzheimer sempre più diffuso”?
Risposta: Il valore della poesia sta nel segno, il valore del segno sta nella poesia, il segno è un valore poetico che in un clima confuso di “creatività diffusa” è più necessario, perché non solo estetico, come sono invece le “labbra al silicone”. La questione sta a monte. Che dire della crisi di identità, una sorta di “Alzheimer” da virus berlusconiano. Anagramma: Silvio Berlusconi = il viso in burlesco. Ma è anch’essa, involontariamente, una maschera tragica, una malattia precoce o senile. Il segno è tutto. Di-segni, di sogni. Ricominciamo dai “graffami”. Siamo creativi.
Domanda:E’ noto che moltissime case editrici, anche di etichetta, riescano a chiedere al poeta somme enormi per la pubblicazione di un volume. Lo reputi lecito? E se tali somme le versassimo a gruppi sociali meno abbienti? Alcuni di essi sono lontano un miglio dagli interessi poetici, perché afflitti dalla fame, ma nascondono anche dei valori e dei sentimenti inattesi.
Risposta: Ritorna l’idea del libro, di librificazione, di oggetto edito da stampatori privi di status editoriale, di editori che aprono anche collane a “scopo di lucro”. La questione fu affrontata anche dal SNS e dalla SIAE ed in effetti va considerata in modo oggettivo. Per la stragrande maggioranza dei casi la soluzione di devolvere i contributi economici in beneficenza non sarebbe sbagliata. Soccorre ancora il Giusti: “Un tal Neri ha stampati / i suoi pensier staccati: / consiglierei piuttosto il signor Neri / a volersi staccar da’ i suoi pensieri”. Ma nessuno garantisce che il denaro risparmiato da tale investimento poetico non finisca poi per mettere benzina nel motore di B/audo o anche peggio (meglio un poeta mancato che un… B/audista della macchina berlusconiana. Gli estremi si toccano). Per altri pochi può essere un primo passo verso la poesia. Va infine detto che “i gruppi sociali meno abbienti” hanno fame di tutto, non ultimo di poesia. Può essere che ci si debba ritrovare tutti insieme, con uso di parola, in una pacifica “veglia d’armi”.
Domanda: Nel divario di potere editoriale Nord-Sud cade anche la distribuzione del volume pubblicato. Hai trovato qualche difficoltà nel passato ed ancor oggi per i tuoi volumi?
Risposta: Certamente un piccolo editore del nord, per la sua stessa collocazione, ha qualche possibilità in più nella distribuzione di un libro. La situazione non cambia molto, ma nei limiti delle basse tirature che solitamente si effettuano, ciò può risultare sostanziale.
Domanda: Un uomo della strada (diciamo licenza media) ha letto una tua ultima poesia. Non l’ha compresa e te ne chiede una semplice interpretazione. Lo assecondi… reagendo in qual modo?
Risposta: Tengo da oltre quindici anni corsi di scrittura creativa per l’Università del tempo libero anche a “uomini della strada” che non comprendono l’intero assetto di un testo poetico. Abbiamo in comune, io e loro, il desiderio incluso nell’anagramma “apro la parola”. Ci accomuna, inoltre,la necessità di vivere nella polis senza essere sbranati dalla sfinge, di sciogliere gli enigmi che sono dentro l’uomo, contro l’uomo. La poesia non è un codice socialmente vincente, eppure…