Franco Manescalchi

QUATTRO OLTRANZE
Monologhi, recitativi e azioni teatrali

Quando

Quando dalla vergogna e dall’orgoglio
Avremo lavate queste nostre parole.

Quando ci fiorirà nella luce del sole
Quel passo che in sonno si sogna.

Franco Fortini

Premessa

mi piacciono le storie che hanno un seguito
fatti e leggende posti all’obiettivo
quando venne la sera camminavo
ai margini del mondo a viso scoperto
e nulla mi pareva veramente sicuro
vorrei avere veramente un seguito
nel tempo e nello spazio potere essere
quando non sarò più / già sono un seguito
dunque potrei pensare che il presente
fatti e leggende posti al microscopio
ma c’è dell’altro al dunque

Genetica

viaggiavamo (ricordo) viaggiavamo
negli atomi dell’elio e dell’idrogeno
dopo il big-bang / la genesi dall’unghia
del seme primigenio / come un feto
le galassie gemevano nell’utero
dell’universo e noi già con dolore
viaggiavamo negli atomi dell’elio
e dell’idrogeno (che viene dal nulla)
come un flusso dal seme primigenio
nella placenta carica di vita
noi sognavamo il mondo: questo mondo

Il padre

curvo nella grande cucina a pianoterra
di fronte all’aia viva come un’arca
mio padre con i piedi sul bacile
si tagliava le unghie
spesse come fossili
e si radeva una barba sottile
col rasoio affilato sul laccio di cuoio
prima di entrare nell’arca sull’aia
con tutti gli animali
da portare a salvazione
mentre le acque straripavano dai pozzi
fu una storia di astronauti
che conoscevano il senso delle stelle
ed io la mattina bevevo il latte degli dei
munto da uri domestici

Progetto apollo

giuro / il progetto apollo mi affascina
chiederò se possibile di entrare
in una navicella nucleare
per uscire dall’orbita e seguire la traccia
del dio che ci parla nel sangue

verrà un giorno mercurio con ali di fuoco
(a volte brevemente mi visita)
con un solo biglietto di andata
a nome del dio ed allora
ne vedremo delle belle
cambieremo musica

Mappa futuribile

da quella parte ci sono le quasar
se l’universo segue antiche regole
andando in senso opposto dovremmo raggiungerle i

ma è anche probabile che troveremo
qualche america inattesa
da cui importare prese di tabacco
ed in cui esportare centauri

certamente cercando l’oriente
troveremo l’occidente
ed il mercato più realistico
sarà di ippogrifi o di glifi
per indios con gli occhi del dio

I glifi

alfa-beta alfa-zeta i nostri segni
bruciano sulle labbra come vecchie
scatole di cartone / riproviamo
i numeri e le lettere c’è in loro
un modo di rinascere bet-alfa
– già nel chiasmo c’è un cenno di sorpresa –
e niente enfasi di mega-foni
il fono-mega l’ultimo suono
è semplicemente l’anagramma del primo
con varianti semantiche lasciate
all’intelligenza del lettore:
in principio era il verbo

l’incubo a volte torna a dominare:
e se questo fosse un inceneritore
e noi i miceti i funghi da un’acquata
su materiale di scarico il disordine
di un ordine il rizoma di qualcosa / vuoi vedere che
mi dico – siamo come in una turbina
di propulsione che sospinge altro

domina a volte l’incubo che torna
ed io nego la vita nella vita

Un sistema di echi

viviamo in un ecosistema
in un sistema di echi
che ritornano
come boomerang
quasi che a un certo punto
qualcosa non abbia funzionato
e tutto questo sia nato
per gemmazione
da impatto

così la parte nostra dimostrerebbe l’intero
già avvenuto ed il resto un’avventura
ancora tutta da vivere e morire
in urti
di ecosistemi
di sistemi di eco
che /non / si sfumano

Privata

angoli rette gole che si smussano
nei dintorni del nulla / siamo qui
fra veglia e sonno con le mani al viso
e lo sguardo che cerca una certezza
nell’ornato del mondo e sbaglia fuoco

qui dove chiedo al tempo cosa sia
lo spazio ed allo spazio una mia immagine
protratta all’infinito / qui dove comincia
una pioggia sottile a dilavare
angoli retti e gole che si smussano

Quasi una preghiera

abbiamo fatto piovere signore
abbiamo fatto piovere con tutto
questo parlare d’altro senza esserlo
cercando umanamente di capire…

La formula c’è

nel codice del DNA
rimane una x:
la formula c’è
(CATTIVITÀ
ATTIVITA
ATTI / DI / VITA
ATTI UNICI
SENZA ATTORI
IN QUELLA X)
e un giorno la decifreremo
per sempre
anche per prima e per dopo

generanti e generati
ad altre incognite

Da A cominciare dalla zeta, a cura di Lamberto Pignotti e Marcello Conti, Campanotto, Udine

CLANIS

Nota per la regia: D -Donna al leggìo (presso una finestra). U- Uomo al leggìo (a una bacheca di paleontologia) Voce -Uomo seduto a un tavolo, di spalle (tavolo di geometra) nella penombra. ~ Possibili diapositive.
Ragazzo -appoggiato a una ringhiera, di fronte al pubblico.

D -La terra da queste parti
si volta e all’improvviso
riconosce se stessa
ed il suo cuore acceso.
La sentiamo diversa
per quei ciuffi inaspriti
di olivi che sconfinano
oltre curve oltre mura. .
Mi domando perché
un sapore di sale
schiuma sulle colline;
mi domando perché
in questo muto andare
i paesi scompaiono
in assenti perimetri.
Che coraggio la terra
nell’esatta avventura
della notte affacciata
alle nostre speranze.
U- Coprolìti sul fondo
di poderi tornati
selve ed erbe leggere
uova di pietra, concave
schegge incise dall’uomo
o da voci telluriche
che emergono dal nulla.
Non è la terra viva
e si lascia cullare
come un osso nel vento
dilavata; che sia
la reliquia di un dio
scomparso da millenni
a volte mi domando
non è, la terra, viva.
La sera che ci porta
la serra che ci tiene
la prigione del tempo
non ci sono perché.
D- È un’etrusca palude
prosciugata la Chiana
ed a volte nell’alba
ritornano gli dèi
a educare le Erinni
lungo poggi di malva.
Qui la pietra respira
come osso spugnoso
per tornare -nel tempo –
meraviglia del sole.
Qui la pietra respira.
U- Vive nelle città
disegnate dall’uomo,
dentro gli itinerari
della mente il futuro,
non qui dove tu dici
storie di mani aperte
al cielo che si sfuma.
È la terra un cadavere
aromato dal tempo,
la natura è listata
da un lutto primordiale.
Noi non sapremo mai,
ne mai saremo: noi,
dove cresce la stoppia
di un grano già mietuto.
È la nostra condanna
ed il nostro futuro.
D -Giudica tu se puoi
l’erba da cui rinacqui,
il sale che ci medica
l’antica corruzione
delle ciglia perdute
riportando il dolore
come un pane possibile
sulla tavola sporca,
giudica tu le mani
e l’acqua che matura
sulle soglie del tempo
i suoi remoti brividi,
non io che sento, al piede,
lo screzio della pietra
serena come voce
impressa nel silenzio
di un fiato che mi porta
come il candido seme
del dente di leone
chi sa dove.
Voce- Non è questo il confine
che divide la storia
in passato e futuro
in natura o progetto.
Solo amore vi spinge
a negarvi cercandovi.
Erano un tempo le città canzoni
oscure sulle labbra: l’uomo usciva
dal suo silenzio con le mani tese
e la sua fame disegnava il mondo
in forme nuove; urlarono gli dèi
nelle loro dimore vegetali
per quelle forme erette e la coscienza
impose al cerchio ed alla stele il rito
sacrificale dei segnati limiti:
tutto stava nel segno e tutto urtava
contro quel segno che lo divideva
dal suo essere uno. Le città
cantarono nel vento con le chiome
di pietra e fango ed eravamo noi
quella pietra e quel fango ed eravamo
muti dallo stupore. Non è questo
il confine: la vita è nella sintesi
che sempre ripropone la domanda
insoluta da sempre. Le città
ora guardano il cielo stupefatte
del canto morto in cuore per l’attesa
di ciò che non sarà; la terra pure
sente il suo cuore come pietra tenera
pronta a tornare presto aria nell ‘aria.
Ma è l’amore del tempo
che ricuce in un brivido
spazi opposti e diversi
plurime dimensioni
(un segnale stradale
un vetro un autostop
la notte all’improvviso
come una strana eclisse)
a sciogliere le mani
indurite in un pugno.
Canteranno di nuovo le città
in lontane, perdute trasparenze
e quel velo/veleno che divide
s’aprirà come un palmo ad altri sensi
figli del tempo (sia di morte o vita).
D -Passa un cane e mi guarda
col suo sguardo di cane
U- Urano è lì che segue
una sua esatta orbita
D -La sua sorte è segnata
così senza padrone
U- Vola la navicella
a remoti confini
D -Tutto aveva un suo senso
nel ricomporsi tutto
U- Andiamo nel sorriso
di qualche fotocellula
D -Il tramonto nel sangue
è una ferita antica
U- Quando sarà che il sole
muti traverseremo
Voce -Dialoghi
diaspore
diacronìe
tempo diviso
tempo inviso
tempo in -viso
tempio
empio disegno
segno di-segno
arca
dente
ente
sillabe sulle labbra
labbra
sillabate
due voci
nel silenzio
di due voci
D -e furono alberi nani
sull’acqua decisa a morire
e furono storie sul filo
di qualche foce impossibile;
andavo cantando qualcosa
dov’erano prode di grano
cucite sulle tempie
di questa madre durissima
che non dice parole;
l’infanzia giocava sul prato
il suo ultimo dado:
la casa materna la casa
formato modello di plastica
e tu -che misuri le stelle –
non credi al ricordo del dio
cruciato in un palmo di creta?
U- Scagliando una freccia dall’arco di salice
più fermo è il dolore del nostro cadere
in nette parabole; andando sul fiume
vedevo fuggire le rane al passo leggero
su foglie tessute di terra (le rane cadevano
di schianto nell’acqua e la freccia raccolta
era un’unghia scalfita). Non seppi mai bene
codeste parole rimaste confuse all’orecchio
scagliando una freccia dall’arco di salice.
D -Questo è un muro
U- Un confine necessario
D- Nessuno risponde a nessuno
U- Un confine necessario
D- II cane è laggiù senza meta
che segue una stella di calce
U- Un confine necessario
Voce- Di noi diranno che fummo tenaci,
era più dolce l’ombra della luce
quando scoprimmo il senso degli dèi
e che il muro ha due facce e una sezione.
Poi decidemmo di tagliare corto,
di dare un nome a tutto per saperlo
dimenticare e fu questo il segreto
del viaggio che sempre si ripete
nuovo e diverso nello stesso senso.
Di noi diranno che fummo tenaci
gli dèi che mutamente si domandano
della sorte che oscura li divide
in finiti infiniti in forme sature
di forze primigenie -ed un sorriso
di chi sa e si compiace amaramente
segnerà il contrappasso dalla vita
alla vita negata nel suo farsi
eppure gene di futuro. Chiudono
la bocca stanchi pure gli universi.
D -Ecco dunque che cosa: Non la fine
ma il fine senza fine, quello sì
che si risponde senza domandarsi,
che si propone quasi sorridendo,
pane spartito a cui tutti si nutrono
dal granello di polvere alla stella.
Credo questo il dettaglio che sfuggiva.
U- Noi siamo qui dolenti sotto un sole
che ci modella come vuole, umani,
e nessuna domanda ci sommuove
il petto che respira fermo il tempo:
ci prenderanno il vortice e la polvere,
le note musicali dell’essenza,
altra materia atra materia e forse
nuove allegrie progetteranno gli astri.
Ma intanto qui, con mani che non tremano,
giochiamo sopra al tavolo ingombrato
da millenni quel dado di cemento:
la nostra casa il nostro caso aperto
a un giudizio che pigro ci divide.
Bambino -Dove vanno le strade
fra dispersi casali
e la chiana sorride
dolcemente assopita
al respiro dell’erbe
ci son perle di brina
scintillanti ai canali.
Io non so, qualche volta
che mi affaccio alle mura
dell’antico paese
arroccato sul colle
credo i nastri d’asfalto
lunghe stelle filanti
di una festa perduta
nella nostra memoria.
Sento voglia di andare
come un equilibrista
sui filari di pioppi
che portano lontano
e giocare nel vento
le mie ali spuntate
alla sfida del giorno
troppo a lungo mentito.
Se tu fossi un cavallo
ombra rossa che taci
nel rovescio del sole
in un nulla perfetto
potrei toccarti il muso
o la zampa che cerca
con l’unghia dello zoccolo
una traccia di terra
ma sei tu che mi illumini
ritornato nel sole
queste strade che vanno
fra dispersi casali
ed io resto a quel muro
alle case serrate
in un loro patire
con gli antichi coriandoli
di una gioia caduta ,
senza storia alle mani.
Se tu fossi una nube
minacciosa di pioggia
vorrei. stare all’aperto
e sentirmi bagnare.
Ma tu sei ritornato
nel mistero del tempo
nel tempo del mistero
nel non tempo che esiste
prima e dopo di noi
ed io posso soltanto
affacciarmi a quel muro
con la voglia di andare
per le strade di sempre
come te che cantavi
di negate occasioni.

Da Collettivo R – n° 41 gennaio maggio 1986

H 5000: LA METAMORFOSI

H 5000: LA METAMORFOSI
Diario di un evento remoto

Gli incubi hanno finito di frullare,
solo gli occhi del gatto ( forse )
e niente altro;
poi nel silenzio assoluto nell’ attesa del mito
la polvere spaziale discese sulle cose:
allora si sperò in un vento liberatore.

*
Prendendo coraggio abbiamo deciso di mentire :
sì, di essere sinceri: di mentire.
Ma la vita che rimase che vita era
lo domandarono in molti senza avere naturalmente alcuna risposta
perché gli strumenti decretano la vita e basta
o che la malinconia ( ! ) può creare brutte immagini.
Perciò abbiamo deciso di mentire:
sì, di essere sinceri: di mentire
perché la somma dei contrari sia infine chiarita.
I
Secondo la sua forma e dimensione
la nuvola è un prototipo inclassificabile:
quando tutto ebbero determinato
commisero l’errore imperdonabile di non tenere d’occhio le nuvole.
II
Era una cosa strana,
uscita dal buio svampò nelle forme descritte
dai mezzi di comunicazione inseriti in pannelli girevoli
nei risvolti delle tute in fibre minerali:
era una cosa strana
tutt’ altro che perfezionata
si pensa che vivesse approssimativamente
sempre in fuga su binari circolari
(la zona morta con detriti e insegne capovolte
a picco nella sabbia attese a lungo i vetri
le geometrie impeccabili, al ritorno…).
Qualcuno si oppose, gridò che era impossibile
finché non fu costretto a controllare di persona.
III
L ‘ombra non durò molto,
sul muro illuminato apparvero segni oscuri
una carica di bisonti preistorici
( sul muro abbattuto si alza subito un grattacielo altissimo) .
Sbucarono quindi gli ultimi fiori nudi e i fanali nella nebbia
siccome con l’ aridità la fantasia cresce
e la legge del fungo ( dall’ essenza all’ assenza: in un silenzio perfetto)
non ha ancora vigore.
IV
La città si è fermata davanti, si è messa a guardare
avidamente dai giardini periferici, da mille posti
-quando me ne accorsi tirai le imposte
perché la città avanzava ossuta verso il colle.
V
Tutto cominciò una mattina ( i giornali riportano il fatto
in modo assai diverso dall’ accaduto )
quando l’ autobus 19 nero -circolare a sinistra –
girò nel largo della stazione intorno all’ aiuola spartitraffico
e la gente si sentiva a posto si sentiva in ogni atomo,
a parte la voce comune che riferisce il fatto
almeno in termini discutibili
perché nessuno fu presente sul posto
e chi vide fu spento dalla luce ,
è sicuro che un grosso amplificatore
tuonò dal centro ( dove c’ è lo sterrato )
che bisognava fare molto in fretta
molto in fretta senza altra spiegazione,
tuonò dal centro in tutte le lingue e con ogni tonalità
con musica o senza a gradimento.
Ma siccome nessuna voce ufficiale confermò la supposizione
che vi fosse un megafono (furono fatte ricerche
che non dettero alcun risultato
ma è vero anche che furono segrete
si usarono lamiere abbaglianti altissime)
che qualcosa di simile fosse accaduto

fu creduto uno scherzo e tutto continuò
molto celermente causa i consumi.
Eppure se ne discusse nell’ombra e ciascuno percepiva
che il fatto aveva preso proporzioni allarmanti
che qualcosa di strano stava accadendo
si vedeva dai volti, da una brutta ansia,
dal rattrappirsi dei muscoli in folli corrugazioni,
anche se la voce ufficiale diceva no
e bisognava fidarsi ciecamente.
La verità irrevocabile è che cominciò una mattina
non si hanno più dubbi ora dopo millenni.
VI
Rimangono le mani sugli occhi
l’ aspro significato che non si sbroglia
del groppo in gola dell’assenza (una vana macchia spaziale).
Non crediate che parli uno, uno per gli altri
o che si parli a turno, che si testimoni tutti
un poco alla volta secondo una legge ;
la civiltà è ormai stabilito balbuziente
ha paura da cui si protegge con energia
-dai mostri del futuro, da ciò che potrebbe.
Non crediate che parli uno, uno per gli altri
o che mi metta le mani agli occhi privatamente.

Da Quartiere, 27/28, 1966

FONOMEGA. (DA UN INTERSPAZIO)

Z 1 (uscendo dal disco, con voce metallico – elettronica)
-caro ipsilon 7 di betalfa
città credo che un disco antepreistorico
planato da galàmeta che fai
in questo scatto di millennio che
dicono dopo cristo numerandolo
i terrestri con cui (betalfa alzata
dai nostri antichi mostri antichi o cosa
e c’è nel cuore della terra un seme
galattico)
ipsilon 7- (dalla finestra circolare della sua abitazione a cono capovolto, voce lontana con eco )
-sarà proprio memoria cosa dici
dei padri luce quelli che nel murmure
orientale dell’ india placentarono
la croce bianca nitida saliente
del dio nel mezzo col razzo razzisti
ominidi dormirono all’addiaccio
pleistocenico (da molti millenni
i padri-luce sono pulvis cosmica
radiati da quell’odio) nello spacco
sulfureo nel sesso scafo luce
della terra materna
Z 1 ipsilon 7 (dissolvendosi)
-ora noi siamo
tutti uguali e preciso con fame
sete sonno terrore
il futuro è passato da sempre
avverti eventi su galassie immemori
i pianeti ci cadono di mano
un siderale cumulo di cenere
passa voce ripeti a tutti che
dalla nube del dissolvimento compaiono un uomo con scafandro ed una donna
H (guardandosi intorno)
– quest’aria di necropoli egozoica
sinistratificata che non vibra
all’urgenza del sangue
entra ed esce daì vetri si colora
di un presente indatabile non posso
toccarti una mano in questo
che è passato presente nel futuro
brucerebbe spostarti anche i capelli
dalla fronte che brucia
H 2 -e in quest’aria trascorrono
egolalìe dentiscono chimere
scheletri millenari di paesi
carrozzerie compresse lacerate,
il nostro plasma futuro ora che siamo
calchi di gesso duri,
parentesi murate
col sempr/ego nel fondo delle stanze
in quest’aria spostarti ì capelli. sarebbe un miracolo
toglierti il più e il meno
fino al gong
dileguatosi il fumo prende forma una cella
H – speranza sottozero nella cella
di questo anfratto cosmico ti abbiamo
applicata all’esterno del sistema
con questo risultato
si parla della luna
nei vetri del sottosviluppato
retorica lo sai per dare un alibi
a questo sottobenessere
benessere sotto che è
disperanza volendo ecce a (g) nus dei
H 2 -qui si. dovrebbe decontaminare
radici plurifonti radiazioni
da impostorie pla pla
te ali dovremmo scrollarci di dosso
l’ibernazione i cumuli entro cui
è stabilito svivere
voce su nastro (alta e sonora)
l’età in cui splende il sole di hiroshima
e chiediamo all’uomo addetto alle ceneri
che paese è questo dove
buche lacci trappole
mani. forti occhi. neri voce dura
ingombrano il cammino
è una inquieta cronopoli
un crack chiodato scarpa
sanguinante mentre la guida mostra
(cala un grande pannello primaverile)
meli in fiore
la fame falcia ventimila vite
H 2 – in questa età
stabiliamo contatti sillabanti
col silenzio che offre
programmi planetari
“simuoresimuore simuore”
sotto la scorza tesa
fino al deserto manifesti frasi
assicurano culi riposati
e la carne si vede
+ altro ancora

H -se non cambia sistema
se non cambia se
siete armi puntate
ora che è tempo di negarsi a fuoco
grigia spera del sole di hiroshima
se non accadrai uomo ubiquandoti
di fatto non traslato è
senza speranza questa età che invadi

Da Tèchne “Quaderni”
Teatro 2 a cura di Eugenio Miccini, Firenze, gennaio 1970

IL PRIGIONIERO
Azione teatrale in due parti per Ernesto Che Guevara

 
Personaggi -Prigioniero, primo guerrigliero, secondo guerrigliero
primo spettatore, secondo spettatore, terzo spettatore, quarto spettatore.
(Sul palco della sala -oppure all’aperto -è collocata una cella a forma di cabina telefonica in cui si trova il guerrigliero vestito con una divisa verde, lisa. Sta accoccolato con la testa fra le mani; suoi stanno, in piedi, ai lati della cabina. Lo spazio è recintato da un nastro di lavori in corso).

primo guerrigliero -questo non è
secondo guerrigliero -questo non è uno spettacolo
piacevole
primo guerrigliero -(indicando il prigioniero) parliamo di quest’uomo
di voi
che non
primo guerrigliero -(indica la cella) basterebbe che alzassi il braccio e aprissi questa porta, che voi alzaste un braccio che apriste questa porta : la porta dietro cui io -voi siamo. C’è solo pompiere là, in fondo, se c’è, ed un questurino all’ingresso; eppure nessuno di noi. voi attori distratti io pubblico che ora vi parla -muove un passo in avanti..
Abbiamo dentro una bella prigione lucente, Un secondino integerrimo ligio al Potere, una scodella di zuppa ed un cuore che pompa.
primo spettatore -(alzandosi, dal fondo della sala) ma se noi vi recitiamo qui -ora -la parte degli assenti, se quell’uomo in cabina è concretamente un Prigioniero, se il Pompiere è una comparsa ed il sipario una tenda finalmente aperta sul mondo, allora com’è che voi parlate e noi, in silenzio, ascoltiamo ? perché non siete voi -più vicini -ad aprire la cella?
primo prigioniero – (si siede accanto alla cabina, quindi si muove liberamente).
secondo guerrigliero – le cose non stanno così: il fatto che voi recitate l’intera giornata una parte fittizia, è nozione comune; il fatto che noi rimaniamo spettatori impotenti del vostro non fare, non occorre provarlo : risulta già da questa profonda incomprensione. Prigioniero di una coscienza che si vede dèpreca, non posso aprire, io, la cella dell’uomo. Se la apro è questione di un attimo, ritorna a chiudersi in forma di altre sbarre : del vostro incredulo compatto sorriso. Ma voi che guardate la scena della vita reale, la vita della scena reale, dovete abbandonare le pareti di comparse ed abbattere le pareti della cabina, perche questo occorre: il prigioniero è recluso dietro il vostro muro dove io stesso mi trovo.
primo guerrigliero -( quasi parlando a se stesso) ci sono parole sugli alberi che si chiamano foglie, ognuno le può vedere, se non è proprio inverno; circola un sogno fra gli uomini; ci sono ore felici nei rapporti d’amore, ognuno le può possedere, ammesso che scelga l’umano. Ma ora è proprio inverno, gli alberi non hanno foglie; ma ora nessuno è libero, finche ci sono padroni; ma ora nessuno è felice, se il cuore batte di orgoglio.
prigioniero -(alzandosi) qui non ci sono foglie, qualunque sia la stagione; qui non si può essere liberi, anche senza padroni; qui non si può amare, sia pure essendo umani. Qui si può solo odiare e fare sforzi inutili.
(si siede, continua a bassa voce)
Se io sto male
se tu stai male
se il nostro cuore sta male
male davvero
da battere come un tamburo
negro
in questo posto non si può restare
fra queste donne con le ciglia false
e gli uomini gonfi di liquore
se la febbre ci mangia le parole
e la mente abbandona la cultura
per i fatti che contano
noi dobbiamo decisi stabilire
che la crepa nel muro
della coscienza
dev’essere abbattuta
con tutto il muro
perché sia nuova una coscienza rossa
se questi se non sono letterari
ma dolore concreto
inarrestabile
che dentro noi l’ambizione d’esistere
sia solo amore
umile saio e mitra
primo guerrigliero -questo non è uno spettacolo.
secondo guerrigliero -questo non è
uno spettacolo
piacevole
primo e secondo guerrigliero –
(sempre più a voce alta)
noi vi rappresentiamo indegnamente dato
che la vostra recitazione è altrettanto scadente
la parte che vorreste attribuirci la sappiamo
l rrestabilecreto ~;’.,~ perche________________________________________________________________________________________________è “niente ”
come dire che stasera per ammazzare la noia
per cercare un motivo di distrazione
siete venuti a recitare
la parte degli spettatori
ed inoltre con poca convinzione

se volete venire con noi
ora in questo momento
ce ne andremo dai signori del luogo
con tutto il nostro sgomento
il loro bene
essere
o non
essere rivoluzionari
ma questo non è un problema
perché tale azione teatrale
non sarà recitata
prigioniero -(seduto, racconta pienamente)
c’erano sere sui monti
che non mangiavo niente
qualche radice acqua di torrente
queste cose le sapete
o andare nel fitto
con i cani alle spalle
-pastasciutta alla carbonara
vinello di collina
vitello al sangue una frutta
caffè la televisione
queste cose le so ma non le ho –
e questa differenza non potete cancellarla
neppure mostrando una tessera
o invitandomi a parlare
d’altro
di quale paese parlo?
del vostro cuore medesimo
dove un ragazzo è morto
un uomo s’è perduto
un uomo -nonostante questo
sufficientemente pasciuto
oppure non è così ?
primo spettatore -(passato in prima fila) otto ore di fabbrica più gli straordinari, una famiglia e il resto i conti che non tornano; questa giungla non la tagli neppure col machete.
primo e secondo guerrigliero – è codesto il paese
dove l’uomo è perduto
se non alza con forza
il suo braccio venduto
la sua forza.
primo spettatore -i conti non tornano e la forza svanisce, tutto codesto non è possibile qui ed ora. Non si tratta solo di .un piatto caldo, è che: e dopo…
primo guerrigliero -noi siamo la prigione che ci chiude perché non riusciamo a leggere il futuro, aprire il prigioniero è perfettamente inutile, qui ed ora, però…qui ed ora dovremmo aprire il prigioniero
fare tabula rasa di un benessere che
perché gli alberi possano
avere ancora foglie
e l’umano annullare il disumano.

II
la cella del prigioniero è posta al centro della platea; fra i due guerriglieri c’è un tavolo con vivande e bottiglie.
primo guerrigliero– (seduto al tavolo) di questo mondo di questo bonheur king edward stock brandy ricavato da un supermarket lucido di beni
con questo vassoio vermiglio
che ha mele cotogne melagrane cachi
grossi come un pugno
non è possibile fare una storia tantomeno d’amore ma di polpe di succhi
secrezioni escrezioni concrezioni
una bio/storia veramente il/logica
come è dato vedere
dalle limature di ferro
all’angolo degli occhi
dagli incidenti interni dalle stragi
secondo guerrigliero– eppure questa mela invernale
gialla verde venata di grigio
con ammaccature ocra
questa melagrana bruna e vermiglia col calice infranto
come una corona reale
o questo diospero
giallo arancio toccato dal sole
e ancora le etichette dei liquori
color vecchio col timbro ceralacca
e i caratteri gotici
le costole dei libri dietro i vetri cangianti
le altre cose banali
di un salotto qui in parte riassunto
sono il segno di un agio che è dis/agio
di cambiali scadute di rancori .
proletari che sembrano coscienza
e una serie di fatti di passioni
legati al disamore al gusto al tatto
alla voglia di vivere al non vivere
CI SIAMO INCLUSI NELLA VOSTRA CRONACA
primo e secondo guerrigliero– un segno certo di sconfitta come
le mansarde borghesi dove circolano
i miti del benessere il segno
di una vittoria sopra/contro l’uomo
ma questo presunto miracolo
che mette cibo nei piatti
è un bonheur ricavato su chi
in una parte del mondo
a un passo da qui
mastica a vuoto un sogno alimentare
e non un fatto estetico
primo guerrigliero– ora che il prigioniero è fra voi, è da voi lontanissimo: è un fremito della vostra coscienza: voi con l’abito buono
lui con la blusa verde ,
voi con la sfumatura alta
lui coi capelli sciolti
voi seduti in poltrona
lui accucciato
anche se il taglio dei vostri capelli non è perfetto, se l’abito buono dimostra i suoi anni, se la vostra poltrona ha la spalliera dura: voi difendete una posizione in certo modo sicura, perché scartate il rischio di perdere tutto, o meglio il poco che vi è dato avere. Ora che il prigioniero è fra voi, oltre che -in voi -coscienza, voi non potete alzare il braccio aprire
la cella
la vostra cella è anche bloccata
rifiutata
al momento di
ne uscimmo per aprire varchi
non per tornarvi murati
se c’è una cabina da aprire
bisogna partire
da quella più ampia
dal prigioniero inizia 1’uomo libero
secondo terzo e quarto spettatore – (da diversi punti della platea) noi ci rendiamo conto di quello che volete: questo non è uno spettacolo, ma un discorso, e va bene. Ma di cosa dobbiamo parlare: di una astratta velleità di guerriglia; dei sindacati, se bastano; del partito se agisce nel cuore della classe; perché allora non è questa la sede e il modo per discuterne, si tratta di una finzione che non può impostare temi vasti e complessi…e infine non è possibile un happening spontaneistico, una provocazione gratuita, un discorso oscuro. A questo punto possiamo anche andarcene, dallo spettacolo.
prigioniero -(si alza, mette le mani alle pareti della cabina, declama fermo) voi ve ne andate sempre quando bisogna restare, tacere quando bisogna parlare, parlate quando bisogna tacere. Tutti i problemi ne formano uno solo: il bisogno di agire continuamente frustato, chiuso nelle maglie dell’indifferenza: noi dobbiamo restare insieme fino alla cancellazione del potere, in questa recita, dobbiamo meditare perciò le nostre viltà di addetti ai lavori in compartimenti stagno senza uscite e la nostra impetuosa imperizia, decidere con parole esatte la sorte del mondo: fare che la vita accada, non regolare soltanto gli scoli o murarli : portarli a suppurazione, quando occorre. ( si siede).
primo guerrigliero -noi stiamo dando uno spettacolo
di confusione
perché 1 ‘ingiustizia del potere borghese ci segna la coscienza
ci separa in gruppi
ci scagliona a distanza
anche oggi durante lo sciopero
-prima di venire qui a rendervi conto –
mi sono domandato se ne valeva la pena
per una rata di meno da saldare
per cento lire in più sul salario per altro
se non ci sia proprio altro da chiedere
la tempesta è su noi
spessa
come nube.

Anche lui (indica il prigioniero) che ha una giacca mimetica ed i capelli lunghi, ha fatto un mestiere, ha portato il suo peso e per averlo negato, è stato confuso più di voi, fino ad esservi estraneo. Ma voi vedete la lampada che fa luce (la indica) le ragazze che presto genereranno (le indica) l’orologio che gira con l’ora della radio
la porta di uscita verso il bar (la indica) e pensate che, per tutto questo sia possibile vivere? Ma proprio per questo occorre che le cose, che la vita ed i fatti abbiano un senso più nitido, come -appunto -il sorriso di un bambino.
prigioniero (come assente)
non ci sono parole precise
nel fiume che scorre o nel vento
eppure la terra ne è.
modificata
anche la nostra sera
scorre egualmente
qualcosa cambia qualcosa
qualcuno qualcuno
anche se a prima vista
non accade niente,
io sono già meno legato
da queste corde che non ho
visibilmente se sto con voi
se con voi ho parlato
in modo imperfetto
se ho detto
spalla a spalla il mio stato
di relegazione
il resto è solo una cattiva azione
della coscienza alienata che vuole
essere felice
separata dal mondo separata
primo secondo terzo e quarto spettatore -alla fine
queste sono parole
chi non sa cosa vuole
non lotta per la classe
la coscienza infelice
è destino di pochi
il dolore del mondo
è la fame tangibile
non la fame di storia
ma la storia che ha fame
secondo guerrigliero -questo non è uno spettacolo
piacevole
ma un discorso diretto
a voi
primo guerrigliero – il teatro non è più un genere in cui intervengono
paganti e pagati, suggestionanti e suggestionati.
Quello che è stato detto
bene o male
è un’ipotesi di lotta
contro il capitale

da che parte dobbiamo stare?
dobbiamo metterci a cantare
i testi di canzonissima
scioperare soltanto
quando il sindacato
ha decretato
eccetera
oppure… (fa un giro intorno alla sala, toglie il nastro che la recinge facendosi aiutare dal pubblico. Risale sul palco, insieme agli attori che recitavano la parte del pubblico, mentre si alza il volume della canzone Dove vola l’avvoltoio:
Un giorno nel mondo
finita fu l’ultima guerra,
il cupo cannone si tacque
e più non sparò,
e privo del tristo suo cibo
dall’arida terra,
un branco di neri avvoltoi
si levò.

Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.

L’avvoltoio andò dal fiume
ed il fiume disse: “No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Nella limpida corrente
ora scendon carpe e trote
non più i corpi dei soldati
che la fanno insanguinar”.

Dove vola l’avvoltoio…

L’avvoltoio andò dal bosco
ed il bosco disse: “No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Tra le foglie in mezzo ai rami
passan sol raggi di sole,
gli scoiattoli e le rane
non più i colpi del fucil”.

Dove vola l’avvoltoio…

L’avvoltoio andò dall’eco
e anche l’eco disse “No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Sono canti che io porto
sono i tonfi delle zappe,
girotondi e ninnenanne,
non più il rombo del cannon”.

Da Collettivo r n° 1 e Impegno 70 – gennaio settembre 1975, Trapani

Questa è il sito del poeta Franco Manescalchi, che è venuto a mancare il 29 settembre 2023.

La famiglia vuole lasciare visibili i contenuti del sito, come testimonianza della sua attività culturale che ha coltivato nel corso di tutta la sua vita fino alla fine.